L'immagine ritrovata
Nicola Galvan
Che cosa hanno in comune un ritrovamento archeologico avvenuto nelle campagne veronesi e l’opera pittorica nuova di Lucia Romanelli? Rispondere a questa domanda consente di scendere sino al cuore dei dipinti di cui ci stiamo per occupare; chiarire la sua pertinenza rende necessario fare un passo indietro nel tempo, affinché il lettore possa rimettere a fuoco un accadimento risalente a questa primavera.
Nel mese di maggio i mezzi d’informazione hanno riportato la notizia del rinvenimento, nella zona della Valpolicella, di una pavimentazione a mosaico di epoca romana, parte secondo gli archeologi di una grande villa i cui resti si troverebbero tutt’ora sotto gli stessi ettari di terreno. Le immagini della scoperta hanno generato una vasta eco. A motivare tanta attenzione è stata non solo l’eccellente condizione conservativa del reperto, ma anche il suo incantevole snodarsi, simile a un sentiero dipinto, tra l’erba e i vigneti.

Giorno (particolare) | 2019 | Tecnica mista su cartone | 80x100 cm

Esotico visionario (particolare) | 2020 | Tecnica mista su cartone | 72x100 cm
Ricordo di aver parlato della notizia con Lucia Romanelli durante l’incontro che, avvenuto pochi giorni dopo nella sua casa studio padovana, era stato fissato allo scopo di discutere i diversi aspetti del progetto che ora vede la luce. Ricordo anche come questo particolare tema abbia condotto le nostre parole a posarsi sulle opere pittoriche che ci circondavano, tutte realizzate dall’artista negli ultimi tre anni.
Questo transitare fluido della conversazione dall’uno all’altro degli argomenti aveva, credo, le sue ragioni in alcune analogie che avvertivo esistere tra le immagini del ritrovamento e le connotazioni, iconografiche come concettuali, dei dipinti che guardavo dal vivo per la prima volta. Mi pareva di individuare in questi, nel fondo della loro sostanza, la celebrazione di un connubio tra il mondo naturale – o meglio, ciò che ne segna i confini: il cielo, il suolo – e la cultura, più precisamente nella sua dimensione che si esprime nelle arti visive e costruttive.
Le modalità della rappresentazione, pur prive di carattere descrittivo, suscitavano alcune riflessioni per immagini non dissimili da quelle che la scoperta archeologica aveva provocato.
A comporsi era la visione di una natura dapprima vinta e rimpiazzata dalle opere dell’uomo, che in seguito ha avuto la meglio su di esse, avvolgendole, “divorandole”, condannandole a un lungo oblio; un oblio spezzato a molte generazioni di distanza da coloro che, prestando ascolto al richiamo del passato, hanno restituito alla luce i loro resti, affinché la terra esalasse il fantasma di un tempo perduto. Seguendo il filo nascosto che collega le arti e la natura, portano in superficie le loro corrispondenze reciproche, l’artista era giunta a rievocare, a mio avviso, anche il racconto di una loro intima contesa.
Le analogie con il ritrovamento ricordato in apertura, tuttavia, non si esaurivano qui, poiché percepivo come Romanelli avesse depositato su quei dipinti gli stessi sentimenti di sorpresa e stupore che accompagnano qualsiasi scoperta, rivelazione o agnizione: implicazione questa che vale la pena approfondire.

Ascesa (particolare) | 2019 | Tecnica mista su tela | 70x100 cm
Nel tentativo di inquadrare il suo lavoro, è quasi inevitabile accostarlo al termine ricerca, sostantivo sin troppo reiterato nelle esegesi delle esperienze artistiche contemporanee. Ritengo questo accostamento appropriato: la conversazione che viene intrapresa con la superficie per mezzo degli strumenti del segno, del colore, delle materie, appare in tutto protesa non tanto a concretizzare un progetto iconografico, ma a favorire l’incontro con un’immagine non preordinata, oltre che significativa e parlante.
Mi spingo a immaginare che, per l’artefice, l’ingresso in ogni nuovo ciclo di lavori coincida con quello che avverrebbe in una stanza segreta, rimasta per tempo immemorabile chiusa all’aria, alla luce, al lontano rumore degli altri – anche ora la suggestione dell’antica villa se-polta si genera in modo spontaneo.
Il suo operare sarebbe dunque volto a rendere visibili, recuperandoli idealmente sotto le polveri e gli intonaci che ricoprono le pareti, frammenti di figurazioni stratificate, diversamente collocabili sulla linea del tempo. I dipinti nuovi di Romanelli rendono in qualche misura tangibile questa immaginazione, in virtù delle loro superfici modellate da ipotetici scavi, da incisioni e rilievi, nonché occupate da concrezioni e diluizioni di colore, gesso, sabbia.
Superfici simili a manti, che sembrano non riuscire a trattenere l’emergere di forme ora isolate, ora raccolte in piccoli arcipelaghi come accade in Spazio curvo, uno dei lavori più rappresentativi della recente produzione; ma comunque intercettate dall’artista in uno stadio solo potenziale.

Tra i grigi (particolare) | 2018 | Tecnica mista su tela | 60x50 cm
Non a caso parlo di forme, poiché la ricerca oggetto di questa riflessione non è sovrapponibile alle esperienze informali, alle quali può solo essere avvicinata per alcuni aspetti: da un lato per la sua irriducibilità a modelli figurativi e naturalistici, dall’altro per la versatilità del ductus pittorico, che dà luogo sia a trasparenze, sia ad addensamenti di sapore materico.
La distanza di queste opere dalla costellazione informale si misura attraverso l’analisi di elementi di stile meno palesi, nonché con l’ascolto dei loro valori evocativi. Innanzitutto, per dare a esse vita, Romanelli non si è affidata alla veemenza perentoria della pittura gestuale; uno strumento tutto sommato inservibile, perché le emozioni che le vivificano sono mediate dalle facoltà proprie dell’intelletto; perché l’energia che le percorre non esprime primariamente la sfera degli istinti, ma piuttosto la complessità e i sommovimenti della Storia.
Inoltre, le radici di questo ricercare sembrano trarre nutrimento da una sotterranea nostalgia della forma, da intendersi come una sorta di rimpianto verso configurazioni e strutture scaturite da un’armonia compiuta tra l’uomo e il mondo.
Un’armonia forse irrecuperabile, forse soltanto sognata. Inseriti nell’intera vicenda creativa di Lucia Romanelli, i lavori recenti si distinguono per alcuni elementi peculiari, rintracciabili in particolare sul versante cromatico, ma allo stesso tempo entrano obliquamente in relazione con i momenti creativi che li hanno preceduti, i quali hanno avuto come protagonista il segno e le sue molteplici “scritture”.

Paesaggio Veneto (particolare) | 2019 | Tecnica mista su cartone | 72x100 cm
Anticipato da una fase di ricerca con cui l’artista ha tentato di circoscrivere e dare presenza all’idea di vuoto, questo nuovo ciclo si riallaccia concettualmente alla più lontana serie Continuum, connotata dall’uso di un tratteggio finissimo che, addensandosi, individuava l’ombra di forme spiraliformi: tra queste compariva, almeno in un caso, quella di una colonna con capitello, memoria di remoti canoni artistici.
La volontà di istituire un’area di continuità spazio temporale, designata ad accogliere il manifestarsi di alcune forme, non è estranea a quella di operare oggi in una zona che la pittrice definisce di soglia. Un luogo cioè di passaggio, di trasmutazione tra il materiale e l’intangibile, tra l’esperienza e l’immaginazione e, soprattutto, tra ciò che è vicino e ciò che è lontano, come possono esserlo per noi tutti la terra e il cielo.
Trovo in questo senso esemplare un’opera come Triade, in cui all’emergere di una forma in gesso si affiancano le impronte ideali di due battiti d’ala; ma lo è altrettanto 45° parallelo, ove lo spazio risulta spartito tra un’aspra suggestione del suolo e un campo d’azzurro sbrecciato, che tanto ricorda la rappresentazione della volta celeste negli antichi soffitti affrescati.
Gli incantesimi visivi della nativa Venezia, la relazione delle sue architetture con i riflessi e l’impermanenza dell’acqua, hanno avuto un ruolo in modo decisivo nella creazione di questo ciclo. È l’artista a spiegarlo:
«Venezia, dove sono nata, ha strutturato in me la spazialità, il rapporto esistente tra l’edificato e lo spazio circostante. La luce liquida di Venezia definisce e modifica in continuazione questo rapporto.
È una città che si lascia guardare in tutte le sue parti – a differenza di molte altre – e forse in particolare negli spazi più alti, dove la compattezza degli edifici si interrompe e si plasma con caratteri di scultura nelle ali di angeli, nelle volute di chiese barocche o nei vuoti tra le terrazze e le altane sopra i tetti delle case.
Insomma, è come se la materia degli edifici si lasciasse interrompere dallo spazio del cielo e dialogasse con esso accogliendolo. […] Con la mia pittura raccolgo dalla realtà forme e segni di cose non esteticamente privilegiate, anzi. Nella mia interiorità avviene un processo alchemico che mi permette di lavorare sulla tela in una zona di soglia».
Sovrapponendo elementi dell’immaginario collettivo e di quello personale, permeabile alle infiltrazioni della memoria, Romanelli è pervenuta con i suoi nuovi lavori non solo a concretizzare delle immagini mentali, ma anche a ripercorrere il farsi dell’immagine nel nostro pensiero.
Padova, settembre 2020