Animula vagula blandula...

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Genealogie strutturali

Giandomenico Romanelli

Per quella che potrebbe definirsi una deformazione professionale, quando mi accosto all’opera di un artista – e non solo contemporaneo – mi viene naturale andare a ricercare e talora a scoprire derivazioni e provenienze, ascendenze e radici, suggestioni consce, e magari meno consapevoli eredità che consentano, a me che osservo, una decifrazione per così dire storica di un linguaggio e di un percorso. Mi è accaduto quindi anche in questo caso: e sono rimasto sorpreso dalla ricchezza e dalla originalità di una produzione che credevo di conoscere quasi per osmosi, visti i legami di parentela che mi collegano all’artista, e che mi si è invece disvelata con l’evidenza di una vera e propria scoperta.

La decifrazione storica, ho appena detto; ed è concetto che ha – che vuole avere  – una duplice declinazione, sia oggettiva, temporale per così dire, che si inserisce nel flusso di un farsi e mutare di gusto, tendenze, scuole e movimenti; sia soggettiva, perché il protagonista, cioè l’artista, matura, evolve, sceglie ed elabora una propria strada, un proprio itinerario intellettuale. Non è che questi due momenti debbano es-sere separati e incomunicanti, tutt’altro; ma è importante che si abbia chiaro che possono non coincidere, che la Vita, insomma, volendo es-sere un tantino retorico, non coincide né con l’Arte né con le sue differenti manifestazioni ma è con esse in dinamico rapporto dialettico.

Opere di Lucia Romanelli

Sinopia 1 (particolare) | 2020 | Tecnica mista su cartone | 48x61 cm

Torniamo al lavoro di decifrazione. Innanzitutto la scrittura poetica è tutta nel segno della leggerezza, cioè di un punto di arrivo cui si giunge attraverso una progressiva de-materializzazione degli elementi fisici di questi lavori e il loro transito nella dimensione del visionario e dell’onirico. Vi sono, ad esempio, suggestioni da Odilon Redon, sia nella produzione propriamente pittorica che in quella grafica, di sorprendente precisione: cioè vedo un lavorìo redoniano come modalità di scomporre e ricomporre, sfumare e immergere nella materia luminosa forme e forse figure di seducente originalità, montate come misteriose metafore.

Segni che compaiono e scompaiono, che subiscono metamorfosi inquietanti, che illudono di una qualche solidità e proporzione e poi si disfano e scompaiono in flussi luminosi. Vi è poi un caposaldo nel fare artistico di Lucia Romanelli che appare denunciato volutamente in forma di quasi citazione: si tratta di Fausto Melotti. E potremmo tranquillamente e senza scandalo estendere la categoria a comprendere Bruno Munari. Con costoro torniamo al tema della leggerezza.

Si tratta spesso di esili immersioni spaziali, di accenni di forme convocate a dar vita a monumenti minimi in cui i materiali si librano in sorridenti ironie, in negazioni più che in affermazioni di volumetrie stereometriche. È una fase del lavoro dell’artista nella quale il rigore della ricerca si sposa alla dimensione ludica: la leggerezza di Melotti accostata ai trompe-l’œil di Munari. La solidità di uno zoccolo si sfrangia nella levità di un minuscolo vessillo dorato oppure si fa artiglio oppure asta o pennone o ala di carta. Ma cambiando il punto di vista ecco una merlatura, un graffito, una nuvola o un ricciolo.

Opere di Lucia Romanelli

Spazio-mondo (particolare) | 2019 | Tecnica mista su cartone | 70x100 cm

Non mi è possibile liberarmi dal mio metodo, per quanto possa essere pedissequo e, forse, un poco petulante.
Ecco la sinopia di altri maestri proiettata sul foglio o sulla tela: inevitabile andare al gruppo degli spazialisti, a Deluigi e a Bacci, a Gaspari e Morandis. Guardati con occhio attento a scovare le ragioni fondanti di una ricerca ma tenendosi prudentemente e sommessamente (per carattere oltre che per metodo) a distanza. Ma punti fermi di un’esperienza giovanile e strutturante.

Andando indietro nel tempo ritrovo ancora segnali e richiami di un percorso di formazione che si riesce a leggere con una certa chiarezza. Ma all’origine c’è una marca di studio veneziana, nel senso del Liceo artistico e dell’Accademia di belle arti, che ci può portare “su per li rami” a Luigi Tito (il Tito intimista delle nature morte e dei ritratti giovanili).

Ma si scorge in filigrana o in controluce il magistero senza cattedra di Balest (con quel segno duttile, continuo, sommesso e magico) e le sue favole mitologiche ma anche le sue chiazze di colore degli interni a Capri piuttosto che ad Asolo.

Il bianco e l’argento delle incisioni vengono altresì da una scuola secolare che ha avuto tra gli ultimi maestri Giovanni Barbisan e Mario Abis, sempre tra Venezia e Treviso. Di questi due incisori si riconoscono anche nei lavori di Lucia Romanelli il tratto, il taglio della scena, il gusto del dettaglio, la precisione e la leggerezza del segno.

Opere di Lucia Romanelli

Spazio curvo 2° (particolare) | 2018 | Tecnica mista su tela | 50x50 cm

Il disegno ha costituito, come per quasi tutti gli apprendisti alle stregonerie dell’arte, il banco di formazione e di prova della nostra artista. Lo dimostrano chiaramente alcuni disegni in mostra e la quantità di studi di nudo, di ornato, di figura e i ritratti giovanilissimi ma già pregevoli che ancora giacciono nelle cartelle e nei rotoli. Lì appunto dimostrò subito carattere non scevro da una certa pignoleria perfezionistica – e così nei non molti studi dal vero di architetture e vedute di angoli di Venezia ma, soprattutto, di rilievi, statue, transenne gotiche, portali, pinnacoli e guglie.

Proprio il disegno testimonia efficacemente il gusto raffinato, preciso, di soggetti ripresi, secondo una tradizione che rimonta addirittura ai disegnatori ottocenteschi, sotto diversi punti di vista o in una successione di appunti che andrebbero poi a comporre la versione finale, quasi tri-dimensionale della figura, dell’animale, del battello o altro ancora.

Stessa cura e precisione che si ritrova nei ritratti, lasciati quasi sempre non finiti, dove un volto, un’espressione, una smorfia emergono a delineare anche il carattere o la momentanea attitudine psicologica del soggetto ritratto. Insomma: non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a un’artista versatile, problematica e riservata, quindi poco propensa a rendere pubblici i risultati del suo lavoro, ma che possiede consapevolmente e in piena autonomia strumenti espressivi raffinati e maturi.

Opere di Lucia Romanelli

Acquatico 2 (particolare) | 2012 | Terre e acquarello su carta | 29x41 cm

Presenta altresì la caratteristica di far compiere al suo impegno scarti improvvisi e cambi di rotta, senza però mai allontanarsi da quella linea maestra che ne ha segnato il carattere e l’ha ancorata a una storia e a un metodo, a delle scelte di campo oltre che alla meditazione paziente, alla sperimentazione silenziosa, al rigore.

Gli esiti più recenti, di cui si parla in altra parte di questo catalogo, confermano in pieno la mia analisi. Ci sono opere in cui si riconoscono, enigmaticamente o volutamente trasfigurate, proprio le tracce di quell’itinerario, e i passaggi che ne hanno scandito la maturazione. L’acquarello è il mezzo espressivo privilegiato, ma l’artista contamina la diafana perfezione del più trasparente dei mezzi pittorici con l’uso di altri materiali a partire dal gesso e dalla sabbia, dando consistenza materica al suo lavoro, conferendo al risultato finale una spazialità nuova, un tracciato terragno e una concretezza che integra e completa quanto di spazialista ancora albergava nel suo alfabeto e nella sua geometria strutturale.

Al colore è lasciato il compito di dialogare con la sottilissima trama di linee e segni grafici, così che la chiave di lettura risulta più complessa e intrigante senza per altro perdere la leggerezza e la trasparenza che ci è sin dall’inizio apparsa come originale e irrinunciabile connotazione di questi lavori e dell’intera produzione dell’artista.